Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino è uno dei classici della letteratura per ragazzi tra i più famosi nel mondo: tradotto in 240 lingue e pubblicato in centinaia di edizioni, è diventato il soggetto di film, cartoni animati, musical e una miriade di monumenti sparsi per tutto il globo.
Il suo autore Carlo Lorenzini, più noto con lo pseudonimo Carlo Collodi, nacque a Firenze il 24 novembre 1826, ma rimase intimamente legato anche al paese d’origine della madre, Collodi nel comune di Pescia (Pistoia), da cui appunto deriva il nome con cui è più noto.
Considerato uno scrittore dell’Ottocento tra i più radicati nella propria terra nativa, per ripercorrerne i passi bisognerà dividersi tra Firenze e Collodi, approfondendo alcuni aspetti della sua vita e cercando di carpire ciò che è rimasto del contesto che ha dato vita al burattino più famoso del mondo, Pinocchio.
La prima metà delle Avventure di Pinocchio, apparve originariamente a puntate tra il 1881 e il 1882, pubblicata come La storia di un burattino, poi completata nel libro per ragazzi uscito a Firenze nel febbraio 1883. Racconta le esperienze accidentali – dannose e crudeli, ma attraenti e ricche di colpi di scena – di una marionetta animata, Pinocchio, prediletto da suo padre, Mastro Geppetto, un povero falegname. Molto più di un burattino che vuole diventare bambino, più di un volto tondo nasuto di legno, più del protagonista di un libro “morale”, Pinocchio è un’icona universale e una metafora della condizione umana. Il libro – che si presta a una pluralità di interpretazioni – è un capolavoro mondiale che ha ispirato centinaia di edizioni, traduzioni in 260 lingue, trasposizioni teatrali, televisive e animate, come quella di Walt Disney; ha reso nozioni largamente comuni idee come quella del naso lungo del bugiardo.
Tra i giudizi favorevoli, quello di Benedetto Croce: «il legno, in cui è tagliato Pinocchio, è l’umanità»; reputò il libro una fra le grandi opere della letteratura italiana.
Benché sia stato scritto nel 1881, il romanzo è ambientato nel passato, presumibilmente all’epoca del Granducato di Toscana, come si può notare anche dai riferimenti ai quattrini, soldi e zecchini d’oro che vengono citati nella storia. Durante il periodo di Leopoldo II (1824-1859) gli zecchini d’oro corrispondevano a 80 crazie o a 400 quattrini, mentre un soldo era pari a 3 quattrini.
Alcune fonti ambienterebbero le avventure di Pinocchio nella zona a nord di Firenze, in particolare nelle località di Castello, Peretola, Osmannori e Sesto Fiorentino. Punto di partenza di tale possibile ricostruzione è rappresentato da villa Il Bel Riposo (situata in prossimità di villa La Pretaia e villa Corsini, nella quale Collodi soggiornò a più riprese durante la seconda metà dell’Ottocento. La parte del racconto in cui Pinocchio viene impiccato dagli assassini alla Grande Quercia è ambientata invece in provincia di Lucca, nei pressi di Gragnano. L’albero descritto da Collodi esiste ancora in quella zona, ed è anche chiamato Quercia delle Streghe.
Nella bottega del falegname mastro Antonio, detto mastro Ciliegia per via del naso tondo e paonazzo, si trova un pezzo di legno da cui il falegname, ritenendolo di scarso valore, intende ricavare una gamba di tavolino. All’improvviso il pezzo di legno comincia incredibilmente a parlare (implora il falegname di non martellarlo forte) e mastro Ciliegia, spaventato, lo regala all’amico Geppetto, anche lui falegname, chiamato Polendina da chi vuol farlo arrabbiare (anche se Geppetto è notoriamente irascibilissimo) a causa del colore della sua parrucca gialla, capitato nella sua bottega per chiedergli appunto un pezzo di legno con il quale costruirsi un burattino che gli consenta di guadagnarsi da vivere tenendo spettacoli.
Geppetto, nella sua poverissima casa (il fuoco nel camino è dipinto), comincia a scolpire il burattino, già da lui ribattezzato Pinocchio, il quale, ancor prima di essere finito, inizia a parlare e dimostra di essere un bricconcello, deridendo il falegname che pure lo stava costruendo. Una volta completato, Geppetto, che lo considera come un vero e proprio figlio, gli insegna a camminare ma Pinocchio, da birbante qual è, scappa subito in strada inseguito dal padre; un carabiniere lo ferma, ma finisce col portare in prigione Geppetto, temendo che quest’ultimo possa punire troppo severamente il burattino per la sua marachella.
Anche da un punto di vista stilistico, il racconto si presenta in una forma innovativa, moderna e fresca, spianando la strada a molti altri autori e scrittori del secolo successivo. Ad esempio, l’italiano utilizzato nel testo è popolarizzato, con frequente ricorso ai fiorentinismi, quali: “non ne ho punto voglia”, “grullerello”, “costì”, “gli è”, “il mi’ caro”, “il tu’ babbo”, “colla” (con la), e ai motti proverbilai.
Lo stile è segmentato, viene usata la punteggiatura e il linguaggio usato è colloquiale.
Molti concetti e situazioni espressi nel libro, di ritorno, sono divenuti proverbiali, o comunque luoghi comuni frequentemente usati non solo in Italia. Ad esempio:
Allo stesso modo, molti dei personaggi sono divenuti per antonomasia modelli umani tipici, ancora oggi citati frequentemente nel linguaggio comune, come ad esempio: