DUOMO DI PIETRASANTA: la scala elicoidale “Opera di un genio”

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Molti indizzi attribuirebbero l’opera della scala Eliocoidale a Michelangelo Buonarroti e non al suo assistente  Donato Benti.

E’ quanto sostiene Enrico Venturini, studente di architettura all’università di Firenze, il quale ha portato avanti un accurato studio in cui dati oggettivi e coincidenze sembrano confermare l’affascinante tesi.

La notizia è una di quelle destinata a fare il giro del mondo. E come non potrebbe esserlo quando protagonisti ne sono il grande Michelangelo Buonarroti e un campanile, all’apparenza di grande semplicità come quello del Duomo di San Martino: una struttura in laterizio rosso, rimasto privo del rivestimento marmoreo, risalente alla fine del XV – inizio XVI secolo, che nasconderebbe, in realtà, una genesi terribilmente michelangiolesca.

Tutto nasce dalla tesi di laurea – 110 e lode – di Enrico Venturini, studente di architettura all’Università di Firenze. Lunedì 6 aprile ha illustrato alla commissione di laurea il suo affascinante studio sul campanile di Pietrasanta confermando che vi sono tanti elementi, troppi elementi, in grado di collegare questa struttura a Michelangelo. Un’indagine di grande fascino, destinata a suscitare un’attenzione internazionale tra gli appassionati cultori del Rinascimento italiano.

L’entusiasmo è palpabile intorno al giovane architetto; un vero e proprio staff ne ha seguito, fase dopo fase, le preziose acquisizioni del laureando. In primis Gabriele Morolli, ordinario di Storia dell’Architettura, cui spetta la lungimirante decisione di proporre, quale tema di laurea, una ricognizione sul campanile della cittadina versiliese da lui tanto amata e frequentata da anni alla ricerca di ‘tracce’ più o meno monumentali del soggiorno apuano del Buonarroti, nonché Barbara Aterini, docente di Geometria Descrittiva presso lo stesso ateneo fiorentino anch’essa relatrice della tesi.

I lavori di questo campanile, alto 36 metri, con singolare scala elicoidale interna, si è sempre ritenuto che fossero stati diretti dallo scultore Donato Benti, ma il recente studio, che ha richiesto oltre un anno di vita dentro il campanile, tra misurazioni, verifiche e ricerche, darebbe oggi solide basi a questa straordinaria paternità.

«E’ stata la messe di materiali, dati, informazioni venute fuori grazie ai raffinati sistemi di rappresentazione quali la prospettiva parallela – spiega Enrico Venturini – ad aver condotto a simili risultati. In assenza di documenti archivistici, leggere la struttura è stato determinante e decisivo per l’attribuzione a Michelangelo. Il monumento è stato studiato in forma oggettiva ed è stato attraverso un protocollo geometrico di analisi che è stato possibile sviluppare le teorie indicate dai dati acquisiti. Quando ho messo mano a questa esperienza, mai avrei pensato di giungere a tali conclusioni, soprattutto di giungere a Michelangelo».

Le straordinarie matrici geometrico-compositive che si trovano alla base della costruzione laterizia del campanile di San Martino e l’inedita struttura interna, scavata da una grandiosa “vite” funzionante da rampa auto-portante per accedere alla cella campanaria, si sono presentate come un’invenzione architettonica nella quale la straordinaria complessità geometrica si accompagna ad una geniale sapienza tecnologico-costruttiva, nonché ad un ardito riutilizzo delle forme dell’arte edificatoria romana.

Puntuali misurazioni ed una efficace ricostruzione con il nuovo metodo di rappresentazione della Prospettiva Parallela al computer, hanno permesso al laureato di confermare un’ulteriore ipotesi, formulata in corso d’opera dal relatore prof. Morolli, secondo la quale il nucleo poetico dell’invenzione della “vite” di Pietrasanta altro non sarebbe stato che l’idea di riprodurre fedelmente, ma in inquietante negativo, le forme della celebre Colonna Traiana, scavata anch’essa al proprio interno da una scala a chiocciola marmorea e fasciata esternamente dal rotulo spiralico del rilievo continuo in cui sono narrate le conquiste militari del grande imperatore.

Una colonna di “vuoto”, celata nel cuore del campanile di Pietrasanta, che riproduce esattamente, sotto il profilo sia delle dimensioni, sia delle proporzioni (stessa altezza, stesso diametro, stesso modulo generatore, appunto, del vuoto interno), il “pieno” marmoreo della colonna romana. Un’imitazione, appunto, in negativo, una mìmesis al tempo stesso segreta e clamorosa in quanto le eleganti proporzioni del fusto della colonna marmorea avrebbero adesso esplicitato, in questa invenzione ipoteticamente michelangiolesca, la propria armonia non attraverso una forma visibile, percepibile dall’occhio, ma tramite la propagazione ed amplificazione del suono delle campane: una grandiosa, cava, eterea “colonna sonora”.

Una soluzione eccezionale che, forse, il grande artista pensava anche di poter esportare in altri, più emblematici (sotto il profilo della committenza medicea) luoghi del suo operare (o la piazza fiorentina di San Lorenzo, con un nuovo campanile che facesse pendant con l’edificanda facciata marmorea; o uno dei campanili del San Pietro Vaticano); un’invenzione che, poi, il fedele collaboratore di Michelangelo a Pietrasanta, Donato Benti, avrebbe portato avanti come meglio gli fu possibile, lasciando comunque incompleto sia il rivestimento marmoreo esterno che la vite laterizia interna.

Un tema appassionante, questo della scala coclearia, che non a caso stava in quel medesimo inizio di Cinquecento coinvolgendo i più grandi esponenti dell’architettura del Rinascimento maturo: da Bramante, con la sua rampa elicoidale su colonne nel Cortile del Belvedere in Vaticano, per papa Giulio II; a Leonardo da Vinci, con lo scalone a doppia elica ascendente e discendente posto al centro del Castello di Chambord, per Francesco I Re di Francia; ad Antonio da Sangallo il Giovane, con la doppia rampa del  Pozzo di San Patrizio ad Orvieto.

Michelangelo fu a Pietrasanta, tra il 1516 e il 1520 circa, per l’apertura delle locali cave in concorrenza con il millenario bacino marmifero di Carrara, al quale lo stesso Michelangelo si era peraltro esclusivamente rivolto in precedenza, fino a questi fatidici anni del pontificato di Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico.

Come si sa, fu proprio il papa mediceo a pilotare l’annessione del territorio di Pietrasanta allo Stato Fiorentino, in previsione delle grandi commesse di marmi che avrebbe richiestol’esecuzione in primo luogo del nuovo San Pietro Vaticano, progettato da Bramante, proseguito da Raffaello e che sarebbe stato poi terminato, dopo oltre mezzo secolo, dallo stesso Michelangelo, che vi lavorò sino alla morte, giunta nel 1564.

Nessuno era esperto di marmi, in quell’inizio di Cinquecento, più del Buonarroti, che a partire dal 1505 aveva iniziato ad estrarre a Carrara il pregiato materiale per la monumentale tomba del pontefice Giulio II. Sottrarsi al monopolio delle cave di uno stato straniero era per il toscano Leone X essenziale, anche in vista dei grandiosi progetti architettonici commissionati in Firenze dal pontefice stesso sempre a Michelangelo: la facciata di San Lorenzo, la Biblioteca Medicea Laurenziana e la Sagrestia Nuova. Tutte opere in cui sia le ciclopiche membrature architettoniche, sia le gigantesche sculture che dovevano animare le composizioni, sarebbero state tutte, infatti, realizzate nel prezioso marmo apuano.

E non a caso, già da alcuni anni, gli studi di Gabriele Morolli hanno portato all’individuazione di tre giganteschi fusti in marmo (monoliti in purissimo statuario di oltre sette metri), appartenuti al complesso di membrature architettoniche estratte da Michelangelo dalle cave di Pietrasanta e predisposte per l’invio a Firenze, in attesa di poter essere montate sulla nuova facciata della basilica laurenziana. Nel febbraio del 2007 (a cura del Comune di Firenze e con la partecipazione di alcuni sponsor privati) una di queste colonne è stata temporaneamente esposta sul sagrato di San Lorenzo, sulla cui fronte, rimasta al grezzo, è stata  contestualmente proiettata una ricostruzione tridimensionale del progetto michelangiolesco dell’intera facciata. Un successo tale che ha spinto a sviluppare l’idea della realizzazione di una monumentale struttura temporanea in grado di riproporre nello spazio urbano reale, per un tempo ovviamente limitato, la mole grandiosa di tale facciata, restituendo vita, anche se temporaneamente, ad un’opera d’arte che, se compiutamente realizzata da Leone X, sarebbe stata il capolavoro architettonico dell’artista.

«Una serie di puntuali rispondenze con il genio creativo di Michelangelo – commenta l’assessore alla cultura Daniele Spinache apre scenari di notevole interesse. Sono certo che la diffusione di questa notizia produrrà un gran dibattito con nuovi apporti scientifici e storici, al quale vogliamo contribuire anche noi, organizzando una serie di convegni sul tema ed una mostra che documenti, attraverso materiale storico, disegni, ricostruzioni tridimensionali, questo recente ed affascinante studio».

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