SIENA: Tarsie marmoree ed enigmi
nel pavimento del Duomo

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“Il più bello, grande e magnifico pavimento che mai fusse stato fatto”, Vasari, 1568.

Sì perché il pavimento del Duomo di Siena ti lascia letteralmente a bocca aperta.

E’ interamente ricoperto da “pietre tassellate”: le tarsie marmoree di colori particolari e sapientemente accostate, attraverso le quali prendono forma delle figure e dei temi sia pagani che cristiani (Veterotestamentari).

Un progetto decorativo che è durato sei secoli, dal Trecento fino all’Ottocento e che si compone di più di 60 scene, realizzate da oltre 40 artisti (Bernardino di Betto detto il Pinturicchio; Domenico di Bartolo; Stefano di Giovanni di Consolo detto il “Sassetta”; Matteo di Giovanni; Domenico Beccafumi).

Un pavimento in tarsie marmoree la cui storia è intrecciata intimamente con la storia stessa della città di Siena e della sua arte.

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l’arte sublime del Duomo di Siena.
(copyright Francesca Pontani)

MA QUAL E’ IL SIGNIFICATO DELLE TARSIE MARMOREE DI SIENA?

Il tedesco Friedrich Ohly (1977) fu il primo studioso ad occuparsi del significato del pavimento nel suo insieme; fu lui il primo a provare a trovare la tematica comune alla base dello sviluppo e della sequenza delle 60 tarsie marmoree: fu lui infatti il primo ad ipotizzare la presenza di un programma figurativo portato avanti nei secoli dai diversi artisti succedutisi nella decorazione.

Friedrich Ohly arrivò alla conclusione che ogni scena fa parte di una rappresentazione della Salvezza: il tutto ha inizio dalle figure sul sagrato esterno (con la raffigurazione di ebrei e pagani), che sono escluse dalla Salvezza e quindi restano fuori dall’edificio sacro, e dai tre ordini dei presbiteri che introducono e conducono il fedele alla partecipazione alla rivelazione divina.

All’interno, davanti al portale centrale, Ermete Trismegisto simboleggia l’inizio della conoscenza terrena, quella del mondo antico, con un libro che simboleggia Oriente e Occidente e che riporta parole legate alla creazione del mondo. Segue un richiamo alla storia della città di Siena, con le storie che simboleggiano Siena e le sue imprese, oltre che i suoi alleati, e una rappresentazione della Fortuna che regge le sorti umane (Allegoria del Colle della Sapienza e Ruota della Fortuna). Nelle navate laterali le Sibille prefigurano la veduta di Cristo, e ricordano le varie zone del mondo conosciuto.

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la tarsia de “La Ruota della Fortuna”.
(copyright Francesca Pontani)

MA TANTE ALTRE SONO LE INTERPRETAZIONI

Ma tante altre sono le interpretazioni sia accademiche che esoteriche, soprattutto per quanto riguarda quelle tarsie marmoree realizzate tra il 1482 e il 1505 sotto la supervisione del Cavaliere Spedaliere Alberto Aringhieri (Rettore dell’Opera), ispirate all’Ermetismo Neoplatonico di Marsilio Ficino. A Siena infatti è ben documentata Tradizione Cavalleresca (la Spada nella roccia presso l’Abbazia di San Galgano e la presenza dei Crociati).

UN PERCORSO ESOTERICO

Che questo pavimento segua un percorso “esoterico” secondo una visione ermetica (nel senso di non “accessibile” a tutti) appare evidente nella prima delle tarsie che si incontrano partendo dall’ingresso, dove si trova il portale principale.

Si tratta di un percorso iniziatico di scoperta e conoscenza interiore, spirituale. Un percorso che inizia con Ermete Trismegisto e trova la sua spiegazione nella tarsia del Colle della Sapienza.

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nel Duomo di Siena la tarsia “Colle della Sapienza”.
(copyright Francesca Pontani)

ERMETE TRISMEGISTO

E’ nella prima tarsia che è raffigurato Ermete Trismegisto (il tre volte grandissimo), il dio Thot Egizio, il Mercurio dell’antica Roma, l’Hermes per i Greci, autore della Tavola Smeraldina che custodisce i “segreti” della Natura, il padre di tutta la Conoscenza umana. A lui si fa risalire un trattato chiamato Corpus Hermeticum, composto da 14 trattati che vennero diffusi in Europa grazie alla loro traduzione ad opera di Marsilio Ficino.

La sua identità è espressa dal cartiglio in basso ai suoi piedi:

HERMIS MERCURIUS TRIMEGISTUS

CONTEMPORANEUS MOYSI’ = Ermete Mercurio Trismegisto, contemporaneo di Mosè

In un grande quadrato incorniciato da un motivo labirintico, campeggia, su fondo nero, la figura di un Sapiente (Ermete Trismegisto) che poggia i piedi su un pavimento di colore rosso. Il Sapiente indossa un cappello a punta bordato di giallo, anche il colletto è giallo mentre la veste che indossa è bianca; inoltre la veste è annodata in vita e indossa anche un lungo cordone, anche questo di colore giallo, che scende sui fianchi.

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nel Duomo di Siena la tarsia marmorea di Ermete Trismegisto.
(copyright Francesca Pontani)

Tutti colori alchemici: sullo sfondo il nero, il giovane in disparte è tutto bianco; Ermete ha tre elementi del suo abbigliamento in giallo; e l’altro personaggio maturo e autorevole ha un elemento in rosso.

La tarsia viene datata al 1488, opera di Giovanni di Stefano. In questo periodo venivano studiate, tradotte e divulgate dagli Umanisti le opere greche e latine che le Corti raccoglievano nelle loro Biblioteche. Questo è molto importante da considerare per capire il contesto culturale, storico e religioso in cui il pavimento prese avvio come progetto globale.

L’espressione di Ermete Trismegisto è benevola mentre consegna con la mano destra un libro aperto ad un personaggio con la barba, con un turbante in testa e con la veste bordata di rosso (la sapienza Orientale), dietro il quale c’è un terzo personaggio, vestito di una tunica bianca (l’Occidente).

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nel Duomo di Siena Ermete Trismegisto consegna il libro ad un personaggio con la barba (la sapienza Orientale?).
(copyright Francesca Pontani

Sul libro aperto si legge: Suscipite o licteras et leges Egiptii, “Ricevete, o Egiziani, il dono della cultura e della legge”.

Con l’altra mano egli indica una pietra sulla quale è inciso Deus omnium creator secum Deum fecit visibilem et hunc fuit primum et solum quo oblectatus est et valde amavit proprium Filuim qui appellatur Santum Verbum, “Dio, creatore di tutte le cose, creò un secondo Dio visibile, e questi fu il primo Dio che egli fece e il solo in cui si compiacque: ed egli amò Suo Figlio, chiamato il Verbo Santo”. La prima iscrizione deriva da Cicerone, la seconda dall’opuscolo ermetico Asclepius, entrambi nella mediazione dello scrittore cristiano Lattanzio, che li cita nelle sue Divinae Institutiones. [nota 1]

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Nel Duomo di Siena:
“Deus omnium creator secum Deum fecit visibilem et hunc fuit primum et solum quo oblectatus est et valde amavit proprium Filuim qui appellatur Santum Verbum”,“Dio, creatore di tutte le cose, creò un secondo Dio visibile, e questi fu il primo Dio che egli fece e il solo in cui si compiacque: ed egli amò Suo Figlio, chiamato il Verbo Santo”.
(copyright Francesca Pontani)

Il riferimento alla terra dei Faraoni, con la sua Antica Sapienza è evidente. Ermete sembra volerla affidare alle genti dell’Oriente e dell’Occidente tenendosi sempre saldi all’origine divina (la prima indagine che l’uomo deve compiere) ricordata nella tavola, su cui poggia la mano sinistra di Ermete, sorretta da due sfingi alate le cui code si annodano formando un 8 (simbolo dell’infinito e della Sapienza).

LA TARSIA COLLE DELLA SAPIENZA

La tarsia del Colle della Sapienza ci racconta visivamente in cosa consiste questo cammino iniziatico di conoscenza.

La scena è ripartita su fondi di colore diverso: il bianco (il sentiero), il grigio (mare tempestoso), il nero (terra) il rosso (il colle della Sapienza).

La scena è dominata da un colle, in alto, al quale si accede attraverso un sentiero pericoloso con sassi, radici, animali, serpenti, una tartaruga.

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nel Duomo di Siena la tarsia marmorea il “Colle della Sapienza”.
(copyright Francesca Pontani)

Al colle cercano di arrivare i vari “pellegrini”, o savi (gli iniziati ?) variamente abbigliati e in pose differenti, sia maschi che femmine: uno con turbante giallo e nero dorme (?) e stringe nel braccio un libro chiuso; un altro ha un cappello a punta bordato di giallo come il suo abito, chiuso da una spilla gialla, e si gira verso la Fortuna, con in mano uno strano oggetto; un altro porta il bastone.

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nel Duomo di Siena i “savi” che attraverso il sentiero salgono al Colle della Sapienza.
(copyright Francesca Pontani)

Poi c’è il primo della fila che è inginocchiato e ha un cappello rosso in testa: tra poco raggiungerà la cima e si troverà al cospetto della Sapienza, la figura femminile seduta in trono, al centro della vetta, su cui crescono fiori.

Il messaggio allegorico è racchiuso nel cartiglio sopra la Sapienza: la strada per giungere alla virtù è faticosa, ma chi persevera sarà premiato.

Infatti c’è scritto:

Huc properate viri: salebrosum scandite montem Pulchra laboris erunt premia palma quies.

Quale sarà la ricompensa al saggio che raggiungerà la vetta? La ricompensa sarà la palma della serenità, che infatti la Sapienza dona al personaggio alla sua destra, che è Socrate, mentre a quello alla sua sinistra, Cratete, consegna un libro chiuso. Mentre Socrate (che tiene nella mano destra anch’egli un libro chiuso) è nell’atto di ricevere la palma, Cratete è nell’atto di riversare verso il basso (sopra la vela che ricopre il capo della Fortuna) un canestro pieno di oggetti preziosi (catene d’oro, bracciali, spille, anelli).

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Siena, Tarsia Colle della Sapienza: Quale sarà la ricompensa al saggio che raggiungerà la vetta? La palma della serenità
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Duomo di Siena, la Tarsia marmorea Colle della Sapienza.
(copyright Francesca Pontani)

I “savi” (coloro che ricercano la Verità), che percorrono il sentiero, dovrebbero essere aiutati dalla Fortuna, simboleggiata dalla donna nuda a destra che tiene con la mano sinistra una vela gonfiata dal vento e con la destra la cornucopia dell’abbondanza. Il piede sinistro è tenuto su una imbarcazione malridotta (con la quale ha condotto qui i savi?), mentre il destro appoggia su una sfera (che è già sulla terraferma): immagine che in se stessa esprime chiaramente il carattere della Fortuna, e cioè incerto, imprevedibile, instabile e precario.

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Siena, Tarsia “Colle della Sapienza”: la Fortuna è incerta, imprevedibile, instabile e precaria.
(copyright Francesca Pontani)

IL CONTESTO STORICO-FILOSOFICO IN CUI NASCONO LE TARSIE MARMOREE DEL DUOMO DI SIENA

  1. LA SAPIENZA DELL’ANTICO EGITTO [nota 1]

L’ammirazione astrattamente avvertita per l’Antico Egitto nell’ultima parte dell’antichità classica è nettamente espressa dal filosofo Plotino nel III secolo, che a sua volta viene ripreso da Marsilio Ficino nel 1492, che lo traduce in latino.

Può apparire difficile credere che gli uomini del Rinascimento prendessero tanto sul serio la sapienza dell’Egitto quando conoscevano di esso tanto poco. In favore della superiorità dell’antico Egitto essi avevano la testimonianza quasi unanime dell’antichità classica. Essi si istruivano quotidianamente in quasi tutti i campi della letteratura, della scienza e della tecnologia, attingendo all’insegnamento dell’antica Roma. Roma aveva appreso dalla Grecia: perché dunque quest’ultima non avrebbe a sua volta potuto apprendere dall’Egitto? In effetti, una quantità di autori antichi affermava che era avvenuto proprio così.

Questa visione dell’Egitto come sorgente di sapienza fu ammessa perfino all’interno della Chiesa tanto che, appunto, all’ingresso della cattedrale di Siena si può osservare al centro della navata il grande mosaico con Ermete Trismegisto.

Ermete Trismegisto è probabilmente una figura mitica, poiché sotto il nome del dio Egiziano Thot si celano autori diversi impegnati a difendere il paganesimo contro il cristianesimo. Ma i Padri della Chiesa, colpiti dal tono mistico, considerarono questi scritti opera di una specie di “profeta pagano” e così in particolare Marsilio Ficino, condividendo tale opinione, tradusse in latino il Corpus Ermetico, che divenne uno dei testi chiave del platonismo rinascimentale.

  1. RINASCIMENTO E NATURALISMO [nota 2]

E’ nell’interesse per la natura del Rinascimento che si inserisce la rinascita dell’uomo, la rinascita dell’uomo nel mondo.

L’uomo si comprende come parte del mondo, si distingue da esso per rivendicare la propria originalità, ma nello stesso tempo si radica in esso e lo riconosce come il proprio dominio.

Il tema dell’uomo come natura, tema comune ad Umanisti, Platonici, Aristotelici e maghi, esprime appunto la consapevolezza con cui l’uomo si riconosce essenzialmente inserito nel mondo, il mondo il suo regno.

Una ricerca diretta a realizzare questo dominio si rivela quindi indispensabile e l’indagine naturale comincia ad apparire come uno strumento indispensabile per la realizzazione dei fini umani nel mondo. L’indagine naturale è infatti la parte prima e fondamentale della filosofia del Rinascimento cinquecentesco nella quale si distinguono due aspetti: la magia e la filosofia della natura.

La magia rinascimentale è caratterizzata da due presupposti: 1) l’universale animazione della natura, la quale si ritiene mossa da forze intrinsecamente simili a quelle che agiscono nell’uomo, coordinate e armonizzate da una simpatia universale; 2) la possibilità che questo offre all’uomo di penetrare di colpo nei più riposti recessi della natura e di riuscire a dominare le forze con lusinghe e incantesimi, cioè con gli stessi mezzi con cui si avvince a sé un essere animato. Per questi due presupposti, la magia va in cerca di formule o procedimenti miracolosi che servano da chiave per i più riposti misteri naturali e che pongano l’uomo di colpo in possesso di un potere illimitato sulla natura.

La filosofia naturale: la natura è considerata come una totalità vivente, ma si considera retta da propri principi; e la scoperta di questi principi diventa il compito della filosofia.

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l’arte sublime del Duomo di Siena.
(copyright Francesca Pontani)
  1. MAGIA E SCIENZE OCCULTE [nota 2]

Il mondo rinascimentale delle scienze occulte è rappresentato da una fitta serie di “maghi” (Cornelio Agrippa di Nettesheim, Teofrasto Paracelso).

L’uomo è stato creato per conoscere le azioni miracolose di Dio e per operarne di simili: il suo compito è perciò la ricerca.

Una ricerca che per Teofrasto ha un carattere magico dove il principio che deve guidarla è la corrispondenza tra il macrocosmo e il microcosmo: se vogliamo conoscere l’uomo, cioè il microcosmo, dobbiamo rivolgerci al macrocosmo, cioè al mondo.

Questa è la riforma della medicina che Teofrasto tentò in cui la medicina si fonda su 4 colonne: la teologia, la filosofia, l’astronomia e l’alchimia.

Tutte queste scienze hanno carattere magico: la teologia serve al medico per utilizzare l’influsso divino; l’astrologia gli serve per utilizzare gli influssi celesti, dai quali dipendono le malattie; l’alchimia gli serve per conoscere la quintessenza delle cose ed applicarla alla guarigione. Il mago con la forza della sua fede e della sua immaginazione esercita sullo spirito degli uomini o sullo spirito della natura un influsso che suscita potenze sconosciute e nascoste e giunge così ad operare cose ritenute impossibili.

Dal fiat divino è nato in primo luogo la materia originaria (yliaster o hyaster) costituita da 3 principi materiali (3 come la trinità divina): il solfo, il sale, il mercurio.

Questi principi sono le specie primigenie della materia e da essi sono costituiti i 4 elementi del mondo e in generale ogni corpo della natura. La forza che muove gli elementi è lo spirito animatore o Archeus.

Come tutte le cose sono composte dei 3 elementi, così le forze che li animano sono costituite dai loro arcani, cioè dall’attività incosciente e istintiva dell’Archeus. La quintessenza è l’estratto corporeo di una cosa ottenuta mediante l’analisi artificiale della cosa stessa.

La quintessenza non è un quinto elemento, come dice il nome, ma uno dei 4 elementi e precisamente quello che domina la costituzione della cosa e ne esprime la natura fondamentale. In essa sono riposti gli arcani, cioè la forza operante di un minerale, di una pietra preziosa o di una pianta.

 

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Francesca Pontani

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