Sant’Antimo tra leggenda e mistero

Una meridiana per Pienza
Ottobre 9, 2018
Firenze ed I Papi Fiorentini
Ottobre 9, 2018
L’atmosfera e lo spirito che aleggiano intorno alle pievi, le badie, i castelli da sempre incantano chi s’immerge nel passato che le antiche pietre raccontano. E pietre e acque e valli e colli e luce e colori tutto contribuisce ancora oggi a creare nel visitatore una vibrazione consonante con il paesaggio in cui quell’antica struttura si colloca: ancora figli del medioevo respiriamo il nascosto motivo che ne ispirò la costruzione lì e non altrove. Se indaghiamo possiamo allora scoprire o avvicinarci a quelle sinergie e cercare di cogliere empaticamente i lontani simboli e messaggi.

Una leggenda lega il nome di Sant’Antimo a quello più altisonante di un imperatore tra i più illustri di un periodo travagliato di passaggio da una struttura imperiale, quella romana, a una nuova che ad essa si ispirava: Carlo Magno. L’imperatore l’avrebbe fondata nel 781, di ritorno da Roma, per una grazia ricevuta: il suo esercito si era fermato in val Starcia per sfuggire a un’epidemia di peste e avrebbe ritrovato la salute grazie all’erba che vi nasce detta quindi erba carolina. Si racconta anche che l’imperatore avesse fatto voto affinché il flagello della peste cessasse e avendo ricevuto la grazia fondò l’abbazia. Come spesso accade le leggende sono intrecciate l’una all’altra e con diverse sfumature raccontano la medesima storia: l’imperatore avrebbe fatto la deviazione dalla Francigena appositamente per portare le reliquie dei santi martiri Antimo e Sebastiano, ricevute dal papa Adriano I, e farne dono all’abbazia. Belle le leggende, comunque, anche se non sono perfettamente in linea con la storia. Ma tutti i luoghi insigni ne hanno una o addirittura varie. Sant’Antimo non poteva sfuggire alla regola.

Sant’Antimo ha una particolarità: l’altare è costruito all’incrocio di tre correnti fluviali sotterranee; potrebbe sembrare un caso, ma forse i nostri antichi costruttori “sentivano” in determinati punti del territorio un’energia maggiore dovuta presumibilmente alla presenza dell’acqua che ne ampliava le vibrazioni e per questo gli era sembrato più idoneo di altri?
Più evidente il messaggio affidato alla scelta delle pietre. I travertini e le onici che la costituiscono sono luminose e dal colore caldo ottenuto, raccontano, trattandole secondo un uso medievale, con una miscela di polvere color ocra e materiali organici derivati dai pesci per proteggerne le strutture esterne. Non mancano altri segni misteriosi: riutilizzi nella facciata di sculture precedenti, una cornucopia e figure zoomorfe, attribuite ad una villa romana o comunque ad una preesistente costruzione con segni e simboli da interpretare perchè messe lì fuori contesto e che hanno interessato la ricerca di vari studiosi: la porta che si apre sul lato sud, datata X secolo, ad esempio, ha animali mitologici sull’architrave e disegni di foglie e decori intrecciati.

Si resta incantati a osservare la fattura pregevole di questi bassorilievi e sculture anche come profani, non cogliendone a pieno il messaggio simbolico che sicuramente portano in sé. All’interno colpiscono i 24 capitelli a motivi prevalentemente vegetali ma anche con figure zoomorfe: sono posti in quell’ordine forse a motivo non esclusivamente decorativo? Ce n’è poi uno in particolare attribuito ad un noto scultore del XII secolo passato alla storia con il nome di Maestro di Cabestany, le cui opere sono state riconosciute per i segni distintivi della sua arte e maestria in varie parti dell’Europa mediterranea, dalla Catalogna alla Toscana: mani ed occhi grandi rispetto alla figura, notevole riempimento degli spazi vuoti, spiccata sensibilità nella realizzazione dei volti.

Il bel capitello, che sulla seconda colonna a destra con le spalle all’ingresso principale, non può non catturarci con i suoi segni e disegni. Racconta incisivamente la storia di Daniele nella fossa dei leoni. Una storia che conosce bene chi ha letto e riletto le pagine della Bibbia. Su due delle facce del capitello le sculture raffigurano il profeta Daniele con le braccia aperte e le mani alzate in mezzo ai leoni di cui alcuni gli leccano i piedi e nelle altre i leoni che sbranano i suoi delatori. In alto le due scene sono incorniciate da figure zoomorfe che si mordono e sbranano a vicenda e da fiori e frutti su cui strisciano serpenti. Come interpretare il racconto nel racconto di pietra che le raffigurazioni sui capitelli rappresentano?

Qualcuno ha notato che in estate il sole, attraverso la bifora dell’abside, illumina molto bene proprio questo capitello, tra tutti sicuramente il più denso nella composizione e nel raccontato. Al di là dei segni indicati è indubbio che il luogo sia particolare e che trasfonda nell’animo del visitatore una pacata armonia: un olivo centenario nasconde tra il suo fogliame pezzi dell’elegante facciata e soprattutto del portale magnifico che la correda, ma non disturba anzi ammalia questo gioco di vedere e nascondere perchè l’olivo con il suo tronco segnato dal tempo abbraccia tutto e lo sguardo si perde tra la pietra e il verde tenero delle foglie mosse da una leggere brezza sotto i raggi di un bel sole d’autunno.

fonte: https://tuttatoscana.net

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *