La Rocca di San Silvestro

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La Triplice Cinta, Alquerque, Filetto
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Grazie al lavoro di scavo terminato in anni molto recenti (2010) oggi si dispone di informazioni abbastanza coerenti e precise circa la pianificazione urbanistica del villaggio: la distribuzione interna degli spazi, con la presenza di aree specializzate per la produzione metallurgica ha fatto capire che la nascita, lo sviluppo e il declino di Rocca San Silvestro ruotarono intorno al lavoro minerario e alla capacità organizzativa che i signori riposero in esso. Al pari altri castelli vicini (come quello di Acquaviva e Biserno), anche questo maniero nacque proprio sulla linea dei filoni mineralizzati (di cui abbiamo parlato all’inizio del paragrafo “seconda tappa”), nel cuore di un’importante area mineraria.

Breve storia

Il villaggio ebbe origine al principiare del X secolo: probabilmente si può identificarlo con il Castello Novo in località Montecalvi citato in un documento del 1004, in cui Gherardo II dei conti Gherardeschi dona il maniero al Monastero di S. Maria di Serena.
Forse vi era già stanziata una colonia di minatori e fonditori per l’estrazione dei metalli dai giacimenti, destinati alla produzione monetaria delle zecche toscane (Lucca e Pisa). All’inizio del XII secolo i signori del luogo furono i Della Gherardesca e successivamente i loro visdomini che, proprio dal nome del castello, si fecero chiamare della Rocca. La loro presenza è attestata in un documento del 1108 e la loro ascesa economica e sociale è legata alla capacità organizzativa dei lavori minerari e metallurgici.
Nel medioevo il sito era noto come Rocca a Palmento, forse per la presenza di macine (in latino macina si dice palmentum; un esemplare di macina è stato rinvenuto nei pressi del frantoio, sotto la chiesa). La denominazione attuale venne conferita almeno un secolo dopo l’abbandono del luogo (avvenuto nel XIV sec.), traendolo dal nome del santo cui era dedicata la chiesa castellana: Silvestro.

Le “vene” minerarie sono citate per la prima volta in un documento del 1310. Ma esse erano già attive da molto tempo…

Pare che più fattori abbiano concorso alla decadenza della potente Rocca: arretratezza dell’apparato tecnologico usato dai signori locali, quando in Toscana si stava diffondendo l’energia idraulica; il calo demografico (profonda crisi europea a metà del XIV sec.); conflitti tra potere signorile e l’espansione territoriale pisana; le autonomie locali di Pisa e Massa Marittima adottarono un sistema di gestione imprenditoriale delle attività estrattive e di lavorazione metallurgica
L’abbandono di alcune aree e di alcune case si data agli inizi del XIV secolo; in via definitiva al principiare del secolo seguente. Solai, tetti e muri crollarono; gli arredi rimasti nelle abitazioni andarono in frantumi e vennero sepolti. Ma lo studio delle ceramiche con cui erano fatti certi utensili ha permesso di studiare la vita quotidiana degli abitanti.
Nel Rinascimento, come abbiamo già accennato, solo Cosimo I de’ Medici tornò ad interessarsi a queste miniere e forse non solo per scopi commerciali ed economici, data la sua passione verso l’Alchimia. Dalla Versilia fece arrivare personale specializzato, così come dal Tirolo, dal quale provenivano i Lanzi, famosi per la loro perizia. Essi costruirono edifici (Case Caprareccia e Villa Lanzi) e sperimentarono nuovi metodi di coltivazione a cielo aperto. Difficoltà tecniche nella separazione dei vari metalli li indussero ad abbandonare la zona nel 1559.

I costruttori e gli abitanti

La parte inferiore della Rocca sfrutta direttamente la roccia affiorante della montagna. Il materiale usato per realizzare il complesso è il calcare microcristallino, che si estraeva da piccole cave interne al villaggio. Le prime opere murarie si ritiene siano state eseguite dagli abitanti, i sudditi del signore della Rocca.
La opere di rilievo come la costruzione della cinta muraria, della chiesa e della torre, cioè il grande cantiere romanico, furono affidate a maestranze specializzate itineranti (forse i Comacini?). E’ pero certo che gli abitanti del villaggio contribuissero all’edificazione delle varie strutture apprendendo le tecniche direttamente dai maestri costruttori e ad un certo punto continuando da soli ma, con il tempo, avrebbero perso la padronanza delle tecniche costruttive. Questo spiegherebbe – dicono gli archeologi - perché le strutture del XII secolo siano realizzate in modo molto più accurato rispetto a quelle successive, attribuite –appunto- agli abitanti. Gradualmente le pietre non vennero più lavorate e non si fece più attenzione alla loro posa in opera. La calce, impiegata come legante, venne accantonata e si preferì usare l’argilla rossa locale. Sembra che nelle ultime fasi di vita del castello si pensasse di più a curare le proprie abitazioni che la residenza del signore, sempre meno presente.
Nel periodo di massima espansione vi erano 40-50 abitazioni nel villaggio, e si pensa vi risiedessero tra le 200 e 250 persone. Il cimitero, che è stato interamente scavato, ha consentito di appurare che venne costruito nel XII secolo di fronte alla chiesa, ma inizialmente soltanto i signori vi venivano sepolti, in quattro tombe costruite in pietra. La popolazione veniva seppellita altrove, ma dove non si sa, forse presso la Pieve di San Giovanni a Campiglia Marittima, da cui la chiesa di San Silvestro dipendeva. A partire dal XIII secolo le sepolture si fanno sempre più fitte; il muro contenitivo venne rialzato e il cimitero della Rocca diventa ad uso comune. Il popolo veniva sepolto in semplici fosse.

Il gioco del filetto

Il percorso ci introduce tra le rovine delle abitazioni, della chiesa, del cimitero, delle botteghe, della zona signorile e di quella industriale, dove si attendeva alla lavorazione del rame e del piombo argentifero. Troviamo il forno per il pane, quello per la ceramica, la cisterna per l’acqua, il frantoio, le strade, la cinta muraria. Troviamo anche, per terra, due nostre care amiche: le Triplici Cinte[1]! Nei pressi della Porta di accesso è ben visibile un bellissimo esemplare inciso su un blocco pavimentale che è stato opportunamente coperto con un plexiglass per evitare che il continuo passaggio di persone lo deturpi; un altro esemplare lo si incontra prima, su una pietra della terza fila di gradini che compone la scala monumentale di accesso. E’ meno visibile, il tratto è più sottile. Forse, accanto, vi erano graffiti altri esemplari ma non si riesce a distinguerli con certezza. Nessuno conosce la loro vera datazione e gli esecutori, tuttavia si ritiene che non possano essere posteriori al XIV secolo.

In merito alla loro funzione si ipotizza che (almeno quello più accentuato) possa essere stato usato dal Corpo di Guardia come passatempo (gioco di pedine) durante il turno di servizio. La posizione orizzontale e le dimensioni idonee rendono questa ipotesi plausibile. Tuttavia alcuni ritengono che la presenza delle Triplici Cinte possa relazionarsi alla presenza dei Cavalieri Templari, senza comunque la possibilità di trovare conferme in merito. Si potrebbero fare diverse supposizioni sulla presenza Templare in questo nido d’aquila ma attendiamo nuovi riscontri.
Abbiamo visto come nel Museo allestito presso la biglietteria del Parco sia conservato un cippo che reca inciso un alquerque, ritrovato nella Rocca di San Silvestro e datato non più tardi del XIV sec. Evidentemente erano schemi ben noti in questo villaggio, nel medioevo.
Va ricordato che il frammento di un tavoliere, con dadi e pedine, lo abbiamo visto esposto anche in una delle vetrine del Museo della Rocca di Campiglia Marittima (situata 2 Km più a sud di quella di San Silvestro). Si tratta, secondo chi scrive, di un filetto (anche se la didascalia lo descrive come un alqeurque

Le operazioni minerarie per ricavare il minerale puro non si discostano molto dalle operazioni alchemiche. In queste miniere si estraevano e si producevano il piombo argentifero, il rame e il ferro. Le aree di estrazione erano localizzate nella Valle dei Lanzi, dei Manienti e sul Monte Rombolo.
Il piombo è un metallo di grande duttilità e resistenza ma soprattutto è un grande collettore di metalli preziosi; in natura lo si trova spesso associato a notevoli quantità di argento. Durante i processi di fusione veniva impiegato con lo scopo di raccogliere (estrarre) i metalli preziosi presenti in altri minerali: era questo il processo di liquazione, come è denominato nei trattati di Metallurgia. A Rocca San Silvestro veniva usata la galena (PbS, Solfuro di piombo che può contenere significative quantità d’argento, come in questi filoni) per produrre il piombo argentifero; il processo constava di più fasi: arrostimento (cioè la separazione dello zolfo tramite l’azione del fuoco), riduzione, coppellazione (o deargentificazione), che avveniva in un crogiolo. A Rocca San Silvestro avvenivano le prime due operazioni, mentre non sono state trovate tracce del processo di coppellazione, che si ritiene avvenisse a Pisa (nel periodo medievale). Il piombo argentifero era merce di scambio, così come il rame. Nelle miniere del Temperino e dei Lanzi questo minerale, il rame, si trovava sottoforma di calcopirite (CuFeS2), un solfuro che doveva essere sottoposto ad un processo molto laborioso per poter ottenere il rame puro; le tre fasi erano l’arrostimento, la riduzione e la raffinazione (unica fase che si ritiene non avvenisse a Rocca San Silvestro, data la mancanza di evidenze archeologiche). Il rame, da altri minerali, è invece ottenibile da una singola fusione con carbone di legna, ma qui si trovava sottoforma di solfuro, tutto un altro paio di maniche!
Teniamo presente poi quanto minerale serviva per ottenere il metallo puro: immense quantità! Da 1 kg di skarn (massa in cui è disperso il minerale utile), dopo la pesta e la cernita si ricavavano 50 g di calcopirite (Temperino) e 30 g di galena (Lanzi). Al termine delle operazioni metallurgiche, si ricavavano 15 g di rame (da calcopirite) e 25 g di piombo, più ½ grammo di argento (da galena).
Il ferro a Rocca san Silvestro veniva certamente prodotto e lavorato; lo confermano il bassofuoco e la forgia. Il ferro non veniva commercializzato ma usato per scopi interni al villaggio. Stupisce come già nei primi secoli di vita del complesso (X-XII) l’organizzazione della produzione fosse già altamente specializzata, mentre nel XIII secolo subì un degrado. Sembra per motivi di ridotto controllo da parte dei signori, i veri e unici imprenditori di queste attività minerario-metallurgiche.
Leggendo in che cosa consistevano le operazioni metallurgiche viene da chiedersi quale incredibile abilità possedessero quelle genti del medioevo (ma ben prima di loro gli Etruschi). Le temperature dovevano essere ben prefissate, aumentate progressivamente, l’aria doveva essere fatta entrare secondo tecniche impeccabili, e poi vi era tutto il protocollo da conoscere anche per quanto riguarda la formazione (e l’eventuale riutilizzo) delle scorie, dei fumi, dei vapori, insomma gli addetti a queste operazioni non potevano improvvisare. Il lavoro doveva essere anche fortemente gerarchizzato, ma sembra che tra il signore e gli abitanti del castello non sia mai intercorsa conflittualità.

La ricerca del filone

Come facevano, i minatori del medioevo, a trovare la vena giusta dove mettersi a scavare? Secondo gli studiosi si usavano delle conoscenze empiriche dell’ambiente naturale. Indicatori precisi della presenza del minerale sotterraneo erano i cappellacci di idrossidi di ferro (affioramenti superficiali della mineralizzazione o dei filoni di porfido); venivano poi scandagliate le faglie e le grotte carsiche. Sulle pareti delle miniere si trovano spesso delle nicchie di circa 10 cm di lato, dove si appoggiavano le lucerne a olio (così dicono gli studiosi). FONTE: https://www.duepassinelmistero2.com/studi-e-ricerche/arte/italia/toscana/archeominerario/virocca/

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